Il Cavolo Cappuccio di Collina
Presente a Terra Madre Salone del Gusto 2022
Giovani e agricoltura è un binomio non solo possibile ma anche indispensabile per preservare il tessuto socio-economico e l’ambiente dei territori, per aumentare l’attrattività di borghi e aree rurali e per propagare l’innovazione.
Lo dimostriamo ogni giorno in Carnia dove i semi di numerose specie vegetali sono tramandati di famiglia in famiglia e sono oggetto oggi di recupero e valorizzazione. Un esempio è offerto dal Cavolo Cappuccio di Collina di Forni Avoltri (Ud).
La sua storia evidenzia il ruolo del contadino custode e salvatore della biodiversità e sottolinea l’importanza di alcune scelte: la scelta di conservare, la scelta di unirsi per portare avanti una coltura destinata a sparire, la scelta di far conoscere il proprio lavoro.
Il Cavolo Cappuccio di Collina è un presidio Slow Food, fa parte quindi dei progetti avviati da Slow Food, a partire dal 1999, per aiutare i produttori a uscire dall’isolamento, superare le difficoltà e trovare un mercato diverso, più sensibile al valore dei loro prodotti.
È coltivato da diverse generazioni nell’omonima frazione di Forni Avoltri, in provincia di Udine, a 1100-1300 metri di altitudine.
La zona è montuosa e si trova ai piedi del monte Cogliàns, il più alto del Friuli-Venezia Giulia, nelle Alpi Carniche. Il suolo è ricco di minerali e il clima dell’area è rigido: l’inverno è freddo con abbondanti precipitazioni. Nel periodo di coltivazione del cappuccio, il notevole sbalzo termico tra il giorno e la notte favorisce la crescita dell’ortaggio e ne determina la compattezza.
Un gruppo di giovani agricoltori, i produttori del Presidio, hanno formato la cooperativa COOPMONT. La cooperativa è oggi composta da cinque soci, di cui 3 lavoratori, che coltivano complessivamente circa un ettaro e mezzo a cavolo cappuccio. I semi vengono selezionati e conservati dai produttori e messi a dimora in semenzaio a maggio. Dopo due mesi, le piantine sono trapiantate in pieno campo. Quest’anno, ad esempio, circa 14.000 piante sono state messe in campo.
La coltivazione è irrigua e le erbe infestanti sono controllate manualmente con sarchiature ed erpicature.
La fertilizzazione è prevista all’occorrenza con concime organico, non si utilizzano prodotti chimici di sintesi in nessuna fase della coltivazione.
La rotazione è biennale e si alternano, a seconda degli anni, favino e canapa.
La maturazione avviene tra settembre e ottobre e la raccolta è effettuata in modo scalare.
Lo trovate fresco nei mercati locali del Friuli Venezia Giulia dove viene acquistato per essere consumato sia crudo che cotto. Le foglie, mangiate crude, hanno un gusto dolce, lievemente piccante e una consistenza croccante.
Se ben conservata, la testa della pianta si può consumare anche dopo mesi oppure si può utilizzare per produrre i crauti: cavoli fermentati con il sale, dal gradevole gusto acido. Anche i vasi dei crauti sono destinati al mercato locale e grazie alla collaborazione con Soplaya sono stati inseriti nei menù di più ristoranti nel Triveneto. Dal racconto e dai numeri emerge a vista d’occhio che quella del cavolo cappuccio è una produzione di nicchia, fatta totalmente a mano e che rischiava di scomparire. Non è scomparsa grazie alla tenacia di una nuova generazione che continua a lavorare la terra, seppur in condizioni difficili, per dare vita a un prodotto legato al territorio. I ragazzi hanno aderito anche al progetto Slow Food dell’etichetta narrante che ha l’obiettivo di raccontare il prodotto, chi lo produce e tutta la filiera. La trovate qui e sul QR code di ogni vaso di crauti da Cavolo cappuccio di Collina che acquisterete quest’anno.
Dal 22 al 26 ottobre sono a Torino e partecipano a Terra Madre Salone del Gusto 2022, un evento di Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte.